Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si inserisce nel più ampio intervento sui problemi della giustizia minorile e segna la ripresa di attenzione alle problematiche di questo settore, nel quale da tempo vengono segnalate urgenti esigenze di riforma.
      La necessità di disciplinare la mediazione giudiziaria minorile deriva da molte ragioni:

          1) la legislazione internazionale ne auspica l'introduzione nelle legislazioni nazionali in ambito sia penale (articolo 11 delle Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, New York 29 novembre 1985; articolo 40, paragrafo 3, lettera b), della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176; raccomandazione n. 87(20) sulle risposte sociali alla delinquenza minorile, del Consiglio d'Europa, del 17 settembre 1987) sia civile (articolo 13 della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei bambini, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, resa esecutiva ai sensi della legge 20 marzo 2003, n. 77);

          2) presso alcuni tribunali per i minorenni si sono già costituiti uffici per la mediazione, e ciò accentua la necessità di una disciplina dell'istituto e della sua rilevanza nell'ambito processuale;

          3) nella nostra legislazione è sostanzialmente mancata, finora, qualunque forma di tutela della vittima del reato.

      La proposta di legge introduce la mediazione penale (articolo 1), operando la scelta di considerarla facoltativa e di attribuire all'autorità giudiziaria la possibilità

 

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di farvi luogo, secondo l'orientamento che ha ispirato varie legislazioni straniere (come quella austriaca e quella francese) e anche il legislatore minorile italiano in relazione alla messa alla prova (articolo 28 delle disposizioni sul processo minorile, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988). Essa si caratterizza inoltre per il fine generale che si propone, che è quello di attuare la mediazione-conciliazione, ponendo una prima base per realizzare la giustizia conciliatrice. Questo tipo di giustizia non è, del resto, estraneo al nostro ordinamento. È anzi previsto da varie norme sia penali sia civili: gli articoli 9 e 28 delle citate disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, nell'ambito penale ordinario e minorile, e gli articoli 1 e 4 della legge n. 898 del 1970 sul divorzio, in materia civile familiare, impegnano espressamente il giudice o i servizi sociali a effettuare un tentativo di conciliazione.
      In linea, quindi, con l'impegno dello Stato a favorire la ricerca della pace sociale, nella presente proposta si fa esplicito riferimento sia allo scopo di realizzare il superamento del conflitto determinatosi, sia al ruolo di protagonisti dell'attività mediativa che assumono l'indiziato minorenne e la vittima, i quali vengono in tal modo posti nella condizione di riappropriarsi direttamente della gestione del conflitto. Tutto ciò è peraltro funzionale al conseguimento del triplice fine indicato di far cessare il pregiudizio subìto dalla vittima, di eliminare il disordine sociale determinato dalla legge, di contribuire al recupero dell'autore del reato.
      La riparazione del danno in favore della vittima è presa in considerazione al comma 2 dell'articolo 1 ed è proposta come eventuale momento della mediazione-conciliazione, quando si riterrà che il triplice fine indicato dal comma 1 non possa ottenersi se non prendendo in considerazione gli aspetti riparatori e risarcitori. Essa sarà comunque obbligatoria nei casi più gravi.
      Effetto della conciliazione sarà, evidentemente, la remissione della querela per i reati in tal modo perseguibili.
      La mediazione civile prevista dall'articolo 2 si prefigge anch'essa un triplice scopo: quello di favorire il superamento del conflitto esistente, favorendo il conseguimento della pace sociale; quello di tutelare in tal modo il minorenne favorendo lo sviluppo della sua personalità in condizioni più adeguate, perché realizzata in clima di serenità; quello di rendere possibile una deflazione processuale, ponendo termine a procedimenti civili già instaurati o prevenendone altri annunciati, in quanto segnalati al pubblico ministero per l'esercizio del suo potere di iniziativa.
      La mediazione civile ha il suo principale settore di intervento nella mediazione familiare, ma interesserà anche l'ambito scolastico, essendo molteplici ormai in tutta Italia i ricorsi proposti ai tribunali per i minorenni in relazione a problemi connessi all'osservanza dell'obbligo scolastico e alla realizzazione del diritto allo studio. Del pari, essa potrà intervenire anche in quegli ambiti (ospedali, comunità, eccetera) nei quali possono determinarsi disagi per i minorenni in conseguenza di conflitti che potranno in tal modo essere risolti.
      Il riferimento esplicito all'articolo 336 del codice civile (articolo 2, comma 1) tende a rinforzare quell'orientamento giurisdizionale ormai consolidato che non limita l'intervento giudiziario ivi disciplinato al solo ambito familiare inteso in senso stretto, ma lo estende anche a tutti quegli altri ambiti nei quali il minorenne oggi vive molto tempo della sua giornata o può trovarsi a trascorrere dei periodi più o meno lunghi di vita. È stato anche disciplinato l'effetto che la mediazione produce sul procedimento civile, seguendo un percorso analogo a quello previsto dall'articolo 711 del codice di procedura civile per il caso di separazione consensuale tra i coniugi.
      L'articolo 3 disegna il ruolo che nell'ambito della mediazione giudiziaria minorile svolgeranno i servizi sociali ministeriali e quelli dei servizi di assistenza
 

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istituiti dagli enti locali e prevede uno spazio di formazione e aggiornamento di questi operatori sul tema della mediazione, facendo ricorso ai programmi di formazione per operatori minorili espressamente previsti dall'articolo 14 delle norme di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, rimasto finora inattuato.
      L'articolo 4 disciplina le modalità di attuazione della mediazione, esigendo particolare rigore nella individuazione della figura del mediatore. Viene data priorità ai servizi pubblici sia ministeriali sia degli enti locali. Tuttavia, anche tali servizi dovranno essere sottoposti ad una valutazione di idoneità da parte della commissione per il coordinamento delle attività dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e dei servizi di assistenza degli enti locali, prevista dall'articolo 13 delle citate norme di cui al decreto legislativo n. 272 del 1989, previo parere dell'autorità giudiziaria minorile.
      È poi sollecitata la costituzione presso i tribunali per i minorenni, ma in sedi autonome, di uffici per la mediazione, nei quali possono convogliarsi insieme le energie dei servizi sia ministeriali sia degli enti locali con la presenza del privato sociale. Si è voluto in tal modo dare spazio alle interessanti sperimentazioni spontanee che sono in corso presso alcuni tribunali per i minorenni e che per il modo in cui si sono realizzate e si vanno sviluppando, pur nella loro diversità, rappresentano una preziosa peculiarità italiana, da salvaguardare e incrementare. Solo per ultimo è previsto il ricorso a mediatori privati, traendo spunto dall'analoga scelta effettuata dalla normativa francese. Anche tale utilizzazione, peraltro, è sottoposta ad una disciplina rigorosa (articolo 4, comma 3). Vengono infine stabilite specifiche regole di comportamento per il mediatore, traendo spunto, anche in questo caso, dall'esperienza straniera.
      L'esigenza di prevedere un'adeguata tutela dei diritti e dell'interesse della vittima ha indotto a prevedere all'articolo 5 l'istituzione di servizi sociali che siano in grado di fornire gli interventi urgenti e la prima accoglienza della vittima del reato, di sostenerla nella fase successiva, di garantirle la difesa legale.
      È stato infine disciplinato (articolo 6) l'effetto che la mediazione produce sul processo penale minorile. Si è evitato di prevedere una nuova forma di estinzione del reato per esito positivo della mediazione, che avrebbe avvicinato troppo l'attività mediativa all'istituto della messa alla prova, facendole perdere la sua identità. Si è preferito piuttosto incanalare il positivo risultato della mediazione nelle due forme deflattive già normativamente disciplinate, ampliando lo spazio di applicazione del proscioglimento per irrilevanza del fatto fino a comprendervi tutti i reati, con la sola esclusione di quelli più gravi previsti dall'articolo 380, comma 2, lettere e), f), g), h), l-bis) e m), del codice di procedura penale e dagli articoli da 609-bis a 609-decies e 734-bis del codice penale. La rilevanza attribuita all'attuazione di condotte minorili riparatorie o risarcitorie riprende l'analoga ipotesi prevista dall'articolo 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, in materia di procedimenti penali di competenza del giudice di pace.
      È lasciata, infine, al giudice la facoltà di decidere sulla base dello studio della personalità del minore se non sia preferibile fare ricorso comunque - quando la mediazione sia riuscita - alla messa alla prova che, contenendo ulteriori elementi di responsabilizzazione e avendo carattere più decisamente riparatorio, può risultare un intervento maggiormente adeguato nei casi più delicati.
 

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